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Alla scoperta dei tesori archeologici di Arzachena (SS)

sabato, 29 luglio 2023 08:39

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La tomba di giganti Coddu 'Ecchju (“MiC – Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Sassari e Nuoro”)
Dal nostro inviato
Francesca Bianchi
Accompagnata dall'archeologa Silvia Ricci, il mese scorso ho visitato i siti del Parco archeologico di Arzachena: la necropoli neolitica di Li Muri, il sito più antico visitabile nel territorio di Arzachena, nonché una delle più antiche testimonianze del megalitismo europeo; le monumentali tombe di giganti di Li Lolghi e Coddu 'Ecchju, la cui grandiosità fa pensare che fossero non solo luoghi di culto in onore degli antenati, ma anche simboli di potere e di controllo del territorio; il complesso nuragico di La Prisgiona; il nuraghe Albucciu; la tomba di giganti Moru; il tempietto nuragico di Malchittu. Silvia Ricci, specializzata in Preistoria e Protostoria e consulente archeologa della Ge.se.co, la società municipalizzata che gestisce il Parco Archeologico di Arzachena, ha rilasciato a FtNews una bella e interessante intervista in cui ha ripercorso la storia millenaria del territorio, fornendo informazioni approfondite su ognuno di questi maestosi e imponenti tesori archeologici.
Un sincero ringraziamento a coloro che hanno reso possibile il mio reportage: la Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Sassari e Nuoro; Valentina Geromino, Delegata alla Cultura del Comune di Arzachena; l'avvocat Anna Maria Zedda, Direttrice della Ge.Se.Co; la coordinatrice dei siti Monica Linaldeddu.

Dott.ssa Ricci, la frequentazione del territorio di Arzachena è attestata già a partire dal Neolitico. La necropoli neolitica di Li Muri è il sito più antico visitabile nell’area e tra i più significativi della Sardegna. Qual è la particolarità di questa necropoli? Come si presentava? I reperti rinvenuti nel corso degli scavi quale immagine ci forniscono degli aspetti sociali, economici, culturali delle comunità che nel Neolitico hanno abitato il territorio?
Sì, la necropoli di Li Muri è il sito funerario più antico, risale a 6000 anni fa. La necropoli, scoperta da Michele Ruzittu nel 1939, è costituita da quattro circoli funerari, una tipologia di sepoltura attualmente conosciuta in Sardegna esclusivamente nel territorio gallurese, in particolare nell’area di Arzachena. Sepolture simili, sia dal punto di vista strutturale che degli oggetti rinvenuti, si trovano anche nella Corsica del Sud, in Catalogna e nel Midi Francese. Questo testimonia la partecipazione delle comunità neolitiche galluresi al megalitismo che, a partire dal V millennio avanti Cristo, si è diffuso nell’Europea occidentale e mediterranea. Anticamente l’area funeraria aveva l’aspetto di una serie di collinette artificiali tangenti fra loro, delimitate da piccole lastre infisse a coltello. Nel cerchio di pietre esterno erano collocati dei menhir, cippi di granito con valore sacrale, posti forse a segnalare le tombe o come simboli divini.
Al centro di ciascun circolo si trova una cassa rettangolare destinata presumibilmente, viste le dimensioni, alla deposizione di uno o al massimo due corpi in posizione rannicchiata.
All’esterno dei circoli, piccole cassette quadrangolari erano probabilmente utilizzate per deporre offerte periodiche deperibili, per esempio cibo.
All’interno vi erano lame di selce e ciottoli con tracce di ocra rossa, che possono essere stati utilizzati per predisporre la sepoltura. I corpi e la tomba erano cosparsi di ocra rossa, sostanza che simboleggiava forse la speranza in una rigenerazione.
A pochi metri di distanza, un quinto sepolcro differisce strutturalmente e concettualmente dagli altri: si tratta di una piccola tomba collettiva a corridoio dell’età del Bronzo, costruita su un circolo preesistente. I defunti della necropoli di Li Muri, di cui sono stati trovati solo esigui resti scheletrici, erano accompagnati da un ricco corredo costituito da collane con vaghi in steatite di varia forma, accette-amuleto in pietra dura levigata, lame in selce sarda e del Gargano e pomi sferoidi in granito e steatite di funzione incerta, forse elementi ornamentali da inserire in bastoni da comando.
Reperti simili sono stati trovati sia in Sardegna che in Corsica, ma anche nella Francia meridionale, nella penisola iberica e italiana, a Creta, in Egitto e in Anatolia. In uno dei circoli è stata ritrovata una coppetta in steatite con anse del tipo "a rocchetto", presenti in ceramiche della Sicilia, dell'Italia meridionale e di Malta. Vasi in pietra sono stati trovati anche in altri contesti funerari sardi dello stesso periodo. L’oggetto è confrontabile con esemplari simili presenti a Creta.
La ricchezza dei corredi della necropoli di Li Muri indica che i defunti fossero personaggi di rilievo della società e rivelano contatti culturali tra le comunità cui appartenevano, il resto della Sardegna e il Mediterraneo occidentale e orientale. L’isola nel Neolitico era coinvolta in una fitta reti di scambi basati sul commercio della selce dell’Anglona e soprattutto dell'ossidiana del Monte Arci.

Arzachena ospita una delle tombe di giganti più grandi dell'intera Sardegna: Li Lolghi. Come si spiega l'imponenza di Li Lolghi e di tutte le tombe di giganti? Le testimonianze ivi rinvenute ci dicono qualcosa del rituale funerario di quella comunità?
La tomba di giganti di Li Lolghi, monumento megalitico dell'età del Bronzo, ha una lunghezza complessiva di 27 metri. La maestosità di queste strutture è dovuta sia alla cura e alla devozione impiegate dai nuragici per costruire delle tombe per i propri cari e onorare gli antenati, ma ha anche lo scopo di segnalare la presenza nel territorio delle comunità che le hanno realizzate. Il grande tumulo di terra e pietrame che protegge il corridoio funerario contribuiva ad accrescerne l’imponenza. Le tombe di giganti sono tipici sepolcri collettivi nuragici; all'interno venivano deposte diverse decine di defunti, talvolta centinaia. Riguardo al rituale funerario e al trattamento del corpo, non essendo stati ritrovati resti scheletrici all’interno del sepolcro, ci si può basare sui risultati degli scavi effettuati in altre tombe di giganti. I defunti venivano sepolti all’interno del corridoio funerario in deposizione primaria, cioè interi e senza alcun trattamento successivo alla morte.
Il ritrovamento, in alcuni casi, di ossa disarticolate ha indotto gli studiosi a pensare che si praticasse la scarnificazione prima della deposizione. In realtà, studi successivi hanno chiarito che erano dovute al fatto che, una volta esaurito lo spazio nella tomba, ciò che restava delle sepolture precedenti veniva spinto sul fondo del corridoio per fare spazio alle nuove inumazioni. I corpi erano calati dall’alto della tomba sollevando una delle lastre di copertura destinata allo scopo.
Come nella maggior parte dei casi, non sono stati ritrovati corredi individuali all’interno della tomba e ciò fa pensare che gli abitanti delle comunità nuragiche venissero sepolti senza distinzioni di sesso, di età e ruolo sociale. All’interno del corridoio funerario sono state trovati contenitori ceramici che probabilmente contenevano cibi e bevande offerte in onore dei defunti.
La maggior parte degli oggetti proviene dall’esedra, cioè l’area cerimoniale. La grande quantità di ceramiche legate alla preparazione e alla consumazione di cibi fa pensare a rituali che prevedevano lo svolgersi di pasti comunitari in occasione della deposizione dei defunti e durante commemorazioni e cerimonie legate al culto degli antenati. I reperti hanno fornito, inoltre, indicazioni cronologiche sulla sequenza costruttiva della tomba e sul periodo di utilizzo.
Il nuraghe e il villaggio di La Prisgiona (foto di Marco Secchi) - “MiC – Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Sassari e Nuoro”
Cosa sappiamo della tomba di giganti di Coddu 'Ecchju?
Coddu Ecchju è una delle tombe di giganti meglio conservate in Sardegna. Probabilmente era un sepolcro destinato agli abitanti del villaggio di La Prisgiona, che dista circa 600 metri in linea d'aria. In base agli scavi archeologici condotti dall’archeologa Editta Castaldi nel 1966 e ai reperti, si è potuto capire che, come altre tombe di giganti del territorio, è stata realizzata nell’età del Bronzo, in due distinte fasi.
Ad una tomba a galleria, costruita tra il XXI e il XIX sec. a.C., venne aggiunta l’esedra tra il XVIII e il XVI sec. a.C. Quest’ultima, elemento tipico delle tombe di giganti, è un’area semicircolare delimitata da grandi lastre verticali infisse nel terreno, che costituiscono la facciata della tomba. La stele centinata al centro è alta 4 metri e 4 cm, e al momento è la stele integra più grande della Sardegna. Formata da due distinte lastre sovrapposte, tenute unite da un particolare incastro, è decorata da una cornice a rilievo e da un listello mediano. La stele ha un forte valore sacrale; sembrerebbe richiamare il simbolo della “falsa porta”, presente anche nelle domus de janas del Neolitico, suggerendo un legame con il passato e il perpetuarsi nel tempo di alcune simbologie in ambito funerario.
La “falsa porta” rappresenterebbe una separazione tra il mondo dei vivi, l’esedra, e quello dei morti, quindi la tomba posta dietro la stele. Il collegamento tra i due mondi potrebbe essere simboleggiato dal portello che si trova alla base, attraverso il quale si introducevano le offerte funerarie per i defunti. I vasi di ceramica di forma chiusa trovati contenevano probabilmente bevande o alimenti. Tegami, spiane, olle e ciotole per la preparazione e la consumazione di cibi, rinvenuti nell’area cerimoniale antistante la tomba, erano utilizzati durante i rituali che si svolgevano in occasione di cerimonie funebri e rituali in onore dei defunti e degli antenati.
Come in altri sepolcri del territorio, non si sono conservati i resti scheletrici; probabilmente a causa dell'acidità del suolo granitico. Non sono stati trovati neanche oggetti di corredo. Per quanto riguarda il rituale funerario, quindi, valgono le stesse considerazioni fatte per la tomba di Li Lolghi. I defunti venivano sepolti in deposizione primaria e senza distinzione di sesso, età o status sociale.

Uno dei siti più importanti del territorio di Arzachena è rappresentato dal complesso nuragico di La Prisgiona. Come era strutturato? Cosa ci dicono della civiltà nuragica i reperti che sono stati rinvenuti nel corso delle campagne di scavo? A quali attività si dedicavano i nuragici del villaggio di La Prisgiona?
L'area archeologica di La Prisgiona è di notevole interesse per la conoscenza della civiltà nuragica. Con il primo scavo archeologico diretto nel 1959 da Ercole Contu, e dopo diverse campagne di scavo dell’archeologa Angela Antona, è stata portata alla luce buona parte dell’insediamento composto dal nuraghe e dal villaggio. Gli studi hanno permesso di ricostruire le fasi di costruzione, ristrutturazione e di utilizzo dell’abitato, comprese in un lungo arco cronologico, dall’età del Bronzo all’età del Ferro. Il nuraghe La Prisgiona fa parte di un complesso sistema insediativo e costituiva un importante punto di riferimento politico ed economico per gli abitati dell’area circostante. La funzione di controllo sul territorio è indicata dalla posizione dominante, con un'ampia visuale sulla vasta piana di Arzachena compresa tra il fiume Liscia e il Rio San Giovanni
. Il nuraghe del tipo “a tholos” è stato edificato nel XIV secolo a. C. su una struttura preesistente. Si compone di una torre centrale e due torri laterali poste ai vertici di un bastione triangolare al quale si accede attraverso un corridoio curvilineo. I reperti hanno contribuito a comprendere le varie funzioni del nuraghe e le attività che si sono svolte nel tempo, come per esempio la conservazione di beni alimentari, la filatura di fibre tessili, testimoniata da fusaiole, o la deposizione rituale di un ripostiglio di bronzi custodito all’interno di una piccola anfora. Nell’ampio cortile antistante il bastione si trova la Capanna delle Riunioni, dove probabilmente si riunivano persone eminenti della comunità. Gli oggetti trovati suggeriscono che nell’ambito di questi incontri si svolgessero anche dei rituali contestualmente alla consumazione di bevande particolari. Infatti, oltre a numerose ciotole e a un attingitoio, è stato ritrovato un vaso globulare di grandi dimensioni, unico per la forma e le decorazioni. Le caratteristiche fanno ipotizzare che servisse per la preparazione di una bevanda distillata o fermentata. Sul fondo del vicino pozzo, profondo oltre sette metri e ancora attivo, giacevano delle raffinate brocche askoidi. Questi recipienti tipici della produzione ceramica nuragica, rinvenuti anche in vari contesti del Mediterraneo, sono strettamente legati al consumo del vino. La parte del villaggio portata alla luce è quella più vicina al nuraghe. Viottoli lastricati attraversano due isolati composti da capanne circolari e piccoli vani. Alcune capanne erano destinate ad attività artigianali specifiche come la fabbricazione, la cottura e la riparazione delle ceramiche, la lavorazione e lo stoccaggio dei cereali, la produzione e la cottura del pane, quest’ultima testimoniata dalla presenza di un forno.

Un altro nuraghe presente nel territorio arzachenese, il nuraghe Albucciu, è considerato dagli archeologi di notevole interesse; che cosa lo rende così particolare? Quali informazioni ci danno i ritrovamenti in merito alla vita degli abitanti e agli scambi commerciali dei nuragici con gli altri popoli del Mediterraneo?
L’insediamento di Albucciu comprendeva il nuraghe e un villaggio che si estendeva a sud e a est del nuraghe, di cui oggi restano poche tracce. Situato ai margini di una vasta piana fertile attraversata dal rio Bucchilalgu, il nuraghe Albucciu domina l'area pianeggiante e i rilievi intorno, costituendo il punto di riferimento politico ed economico per una serie di abitati minori disposti sulle alture circostanti. A renderlo così particolare, e molto diverso dal classico nuraghe a torre troncoconica, sono le caratteristiche architettoniche. Costruito sfruttando un grande affioramento granitico, l’edificio è di tipologia mista.
Questo tipo di nuraghe, molto diffuso in Gallura, unisce soluzioni architettoniche presenti nei nuraghi più arcaici, detti “a corridoio”, a espedienti tipici dei nuraghi a “tholos”, a cui appartiene anche La Prisgiona. Nel terrazzo e nei vari ambienti sono stati rinvenuti numerosi e importanti reperti, testimonianza delle varie attività quotidiane che si svolgevano nel nuraghe dal XIV al VII sec. a.C. Per esempio, sono stati trovati utensili legati alla lavorazione del latte, dei cereali, alla cottura del pane e di altri cibi, ma anche ornamenti e manufatti in bronzo di produzione locale, tra cui una statuetta di offerente. Alcuni oggetti preziosi testimoniano la partecipazione della comunità di Albucciu a scambi culturali e commerciali con l’Italia peninsulare e col Mediterraneo orientale, come suggeriscono un frammento di situla di bronzo in stile “orientalizzante”, un pendaglio bronzeo a rotella e perline di pasta vitrea.
Molto interessante a tal proposito è il ritrovamento di un ripostiglio di bronzi custodito all’interno di un’olletta di ceramica. Tra vari ritagli indefiniti e frammenti di spade votive, vi erano anche sei frammenti di lingotti di rame di un tipo particolare di produzione egea, chiamato ox-hide, cioè “a pelle di bue”, una forma particolarmente adatta al trasporto. Questi lingotti, di provenienza cretese e cipriota, sono importanti perché ci fanno capire come la comunità di Albucciu fosse inserita all'interno di reti commerciali che riguardavano l'approvvigionamento del rame, una materia prima richiesta dai nuragici in grandi quantità, vista la ricca produzione metallurgica.
Il tempietto nuragico di Malchittu (“MiC – Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Sassari e Nuoro”)
A pochi metri di distanza dal nuraghe Albucciu si trova la tomba dei giganti Moru, che pare sia stata frequentata fino all'età punica. Anche questo sito ha restituito testimonianze relative ai traffici commerciali in cui era inserita la Sardegna. Ci spieghi pure...
La tomba di giganti Moru era probabilmente l'area funeraria di pertinenza del nuraghe Albucciu. Il sepolcro è stato realizzato in due fasi costruttive ed è stato utilizzato per un lungo periodo di tempo, dal XVIII al X sec. a.C. I reperti appartenenti alla fase più antica della tomba, in particolare dei vasetti miniaturistici, sono stati ritrovati all’interno del corridoio. Numerosi oggetti attribuibili alla seconda fase di vita del monumento, soprattutto ceramiche, tra cui una coppa su piede, ma anche i frammenti di due pugnali di bronzo e un vago di collana in ambra, provengono dal corridoio e dell’esedra. Il grano d'ambra, datato tra il 1200 e il 900 a.C., ci parla dei traffici commerciali in cui era inserita la Sardegna, compresa la comunità di Albucciu. L'ambra proveniva dal mar Baltico, e probabilmente giungeva nell’isola dall'Italia tirrenica grazie ai contatti con la civiltà villanoviana. Sappiamo che la tomba è stata frequentata e riconosciuta come luogo sacro anche in età punica: sebbene non siano state ritrovate sepolture di quel periodo, è stata rinvenuta una moneta, forse un’offerta, datata fra il 300 e il 264 a.C., con rappresentata su una faccia la testa di un equino e sull'altra la dea Tanit. Un simbolo della stessa divinità punica fu inciso nella lastrina che secoli prima chiudeva il portello della stele, riutilizzata come una piccola stele e infissa all’ingresso della tomba.

Nel territorio di Arzachena è presente un particolare edificio di culto nuragico, il tempietto di Malchittu. Quando è stato realizzato? Cosa sappiamo della funzione di quest’edificio?
Nell’area di Malchittu, non lontano dal nuraghe Albucciu, si trova un tempietto nuragico posto tra due alture granitiche. L’edificio, di pianta sub-rettangolare con pareti curvilinee, è conservato quasi integralmente; manca solo la copertura che doveva essere a doppio spiovente, realizzata con travi di legno. Le caratteristiche architettoniche lo accomunano alla categoria dei templi nuragici detti “in antis”, per la presenza di un atrio formato dal prolungamento dei muri laterali davanti alla facciata. Tale particolarità richiama la struttura detta “a megaron”, tipica dell’architettura minoica e micenea.
Questi edifici si diffondono in Sardegna nella fase matura della civiltà nuragica, mentre il tempietto di Malchittu risale a diversi secoli prima: in base ai pochi frammenti ceramici trovati contestualmente allo scavo archeologico effettuato nel 1967 da Maria Luisa Ferrarese Ceruti, è stato datato al Bronzo medio, alla prima fase della civiltà nuragica, tra il XVIII e il XVII sec. a.C. All’interno sono presenti alcuni elementi presumibilmente legati allo svolgersi di rituali. Sulla parete absidata di fondo un alto bancone a ridosso del muro era forse utilizzato per poggiare delle offerte o degli oggetti di culto. Sul lato destro dell’edificio, in posizione centrale, si trovano due gradini; si ipotizza che costituissero dei sedili per ospitare i partecipanti ammessi ai rituali. Sul lato opposto un gradino isolato era forse un sedile destinato all’officiante, di fronte al quale è collocato un focolare circolare. L’assenza, tra i reperti ritrovati, di offerte e oggetti simbolici e di qualsiasi altro manufatto significativo non consente agli archeologi di risalire ai riti svolti nel tempietto né a quale divinità fossero rivolti. La presenza del focolare potrebbe suggerire l’utilizzo del fuoco nell’ambito di rituali celebrati durante momenti di incontro tra le comunità del territorio circostante. Non si esclude l’utilizzo anche dell’acqua, elemento fondamentale nella religiosità nuragica, come dimostra la diffusione di raffinati edifici di culto costituiti da fonti e pozzi sacri.

Il Museo Civico "Michele Ruzittu" di Arzachena ospiterà fino al 2026 la mostra temporanea Il Tempo Ritrovato. Patrimonio archeologico di Arzachena dal Neolitico a Roma, inaugurata lo scorso anno. L'esposizione permette al visitatore di conoscere i siti archeologici del territorio prima di scoprirli e visitarli di persona in loco. Lei ha lavorato alla realizzazione di questo progetto. Come è strutturato il percorso espositivo? Quali reperti possono ammirare i visitatori?
La mostra temporanea Il Tempo Ritrovato ospita, per la prima volta ad Arzachena, più di 200 reperti provenienti dai siti archeologici del territorio, sia da quelli fruibili che da altre aree archeologiche meno conosciute. L’esposizione, articolata in due sale, è arricchita da dispositivi interattivi e contenuti multimediali bilingui che guidano il visitatore alla scoperta del ricco patrimonio archeologico arzachenese.
Gli approfondimenti permettono di contestualizzare i reperti e di comprenderne meglio caratteristiche e funzioni. L'esposizione è suddivisa in due sale. La prima racconta la storia del territorio dal Neolitico all'età romana e le sue peculiarità. I reperti sono raggruppati secondo sei sezioni tematiche, a cominciare dalle prime tracce dell’uomo risalenti al Neolitico, che sono costituite da ornamenti e strumenti provenienti dai circoli funerari di Li Muri e La Macciunitta, dal villaggio di Pilastru e dal dolmen di Li Casacci Vecchi. Un gruppo di minerali e pietre rappresenta alcune delle materie prime utilizzate dall’uomo neolitico: ocra rossa (ematite), selce, ossidiana e steatite. Il racconto prosegue con alcuni reperti rinvenuti presso diversi tafoni del territorio. Il termine indica le cavità naturali che si creano in seguito all’erosione dei blocchi granitici; l'uomo li ha utilizzati in vario modo fin dalla preistoria. Monti Incappiddatu è un esempio emblematico di tali ripari sottoroccia. Da vari insediamenti nuragici, quali nuraghi, villaggi e alture fortificate, proviene una serie di oggetti legati alla vita quotidiana: affilatoi di pietra, lisciatoi, una lucerna e vari recipienti di ceramica, anche decorati.
Si possono osservare, inoltre, degli ornamenti in bronzo provenienti dal villaggio di La Prisgiona e un eccezionale rasoio lunato in ferro in buono stato di conservazione. È presente anche un insieme di minerali da cui venivano ricavati rame, piombo e ferro utilizzati in epoca nuragica. Una sezione è dedicata al nuraghe Albucciu, con una grande varietà di oggetti, tra cui fusaiole, vaghi di collana in bronzo, affilatoi e pestelli litici, ceramiche...
Sono di particolare interesse dei denti di falcetto in ossidiana. Per comprendere meglio l’aspetto originario di alcuni utensili, sono state inserite delle riproduzioni. Sono legati al culto dei morti i manufatti provenienti dalle tombe di giganti di Moru e Li Lolghi, per esempio una perlina in vetro blu decorata “ad occhi”. In questa sezione sono stati inclusi alcuni reperti, tra cui quella che sembra essere una lama di rame piegata intenzionalmente, trovati in circoli cultuali di epoca nuragica. L’esposizione della prima sala si conclude con una sezione sul Golfo di Arzachena in antichità.
Il mare ha rappresentato una risorsa in tutte le fasi della storia dell'uomo, come dimostrano anche i pesi da rete ritrovati nel villaggio di La Prisgiona e nel nuraghe Albucciu. Qui abbiamo potuto esporre alcune testimonianze di epoca romana: un coppo e un embrice provenienti da un relitto di 18 mt naufragato di fronte al Golfo di Arzachena. Del relitto è stato trovato il carico intatto di tegole, probabilmente fabbricate nell'area suburbana di Roma e destinate a un edificio di pregio, forse nella costa occidentale della Sardegna o in Spagna.
La seconda sala costituisce un focus sul complesso nuragico di La Prisgiona. Planimetrie e contenuti multimediali introducono alla conoscenza di questo importante insediamento e dei reperti ritrovati, che raccontano la vita quotidiana degli abitanti, gli aspetti sociali, economici e rituali. Nelle vetrine di questa sala è possibile ammirare alcuni tra i più importanti oggetti rinvenuti nel sito. Spicca, fra tutti, il famoso vaso decorato dalla Capanna nelle Riunioni, per la distillazione o la fermentazione di una bevanda speciale. Possiamo osservarne il caratteristico colletto obliquo con fori e le particolari decorazioni.
Di notevole interesse è il ripostiglio di bronzi che era adagiato lungo il pavimento della torre centrale del nuraghe, in un apposito alloggiamento: un’anforetta custodiva frammenti vari di bronzo e un tipico pugnaletto nuragico ad elsa gammata. Accanto ad altri oggetti metallici, come pugnali, fibule, un puntale di lancia decorato perfettamente conservato, si possono osservare varie tipologie di recipienti ceramici destinati a diversi utilizzi. Era probabilmente usato per la cottura del pane un grande tegame decorato sul fondo, proveniente dalla Capanna delle Riunioni. Due grandissimi vasi riparati dai nuragici con grappe di piombo servivano per conservare cospicue quantità di derrate alimentari. Una fiasca del pellegrino e una serie di brocche askoidi decorate dal villaggio sono legate al trasporto e alla consumazione del vino. Attraverso i reperti esposti, pur essendo solo una parte dell’abbondante materiale archeologico restituito dall’insediamento, è possibile immaginare come potesse svolgersi la vita della florida e dinamica comunità di La Prisgiona.
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